Una foresta di domande
Un rumore assordante mi sveglia. Apro gli occhi, la tenda sopra di me è come se venisse punzecchiata da migliaia di sassolini, sta diluviando. In un attimo, mi passano in mente mille soluzioni per poter rispettare la tabella di marcia che ci siamo dati la sera prima: sveglia alle 6:30, colazione alle 7, alle 7:30 iniziamo a smontare e 9, o se siamo veloci 8:30, possiamo partire per rientrare.
Più ci penso e più complicazioni trovo, abbiamo ancora due giorni di cammino per tornare alla casa dei volontari.
Non possiamo bagnarci troppo, domani sera dormiremo nella stessa sala di due sere fa, il pavimento era freddissimo. E le tende tutte bagnate, bagneranno tutto ciò che è nello zaino. È un attimo scivolare in foresta, non possiamo rischiare troppo siamo lontani, molto lontani dalla civiltà che conosciamo noi.
Decido di alzarmi, e controllare fuori come va. Indosso i vestiti più tecnici che ho ed esco. La pioggia inizia a battere sul cappuccio, questo è l’unica cosa che sento. Passo da qualche tenda per capire la situazione, tutto nella norma, tende umide e tutti in attesa.
Vedo Apio (la nostra guida della foresta) affacciarsi dalla tenda dove ha dormito, mi avvicino e provo a chiedere cosa possiamo fare. Si affaccia anche Spinola (punto di riferimento del viaggio). chiedo con lui il da farsi e, accennando qualche parola in swahili ad Apio mi risponde “at ten it will stop rain, good idea to wait”.
A quel punto capisco. Quando la natura fa il suo corso la cosa migliore è lasciarla fare. Tentare di sfidarla è solo un rischio. Tanti pensieri mi chiariscono come e perché questa gente viva così. Ad un primo sguardo abbandonati dalla civiltà, ma da un punto di vista più attento strettamente legati con la natura.
Avviso gli altri, torniamo in tenda e in un attimo sono le 10:00, improvvisamente il rumore si trasforma in ticchettio, di nuovo pensando alle parole di Spinola capisco quanto questa gente conosca la natura.
Finito di smontare il campo partiamo con il primo ostacolo, il ruscello di fianco al campo si è ingrossato, l’unico modo è attraversarlo a piedi nudi, con zaino e tende in spalla. Fatto il guado inizia la salita, il fango scivoloso, i rami in mezzo a quella striscia di foglie schiacciate che noi chiamiamo percorso.
Sono entrato in foresta con la testa china, mi piacerebbe poter dire per rispetto ma ero concentrato su dove mettevo i piedi perché il mio ginocchio sinistro era indolenzito. Per rispettare la foresta bisogna conoscerla e quindi osservarla. Oggi sulla via del rientro il ginocchio non fa più male. Riesco a concentrarmi su ciò che mi circonda e un ragionamento di ieri mi assale.
“Dove cerchi Dio, dentro o fuori di te?” La domanda della catechesi di ieri.
In foresta se ti prendi un attimo sei circondato da un meccanismo sopraffino, ignoto nei suoi dettagli più intimi, ma quando ti viene detto che alcuni alberi qui hanno migliaia di anni, cerchi di farti un idea di quanto questa cosa, l’ecosistema della foresta, sia perfetto. Mi piace pensare che a tutto questo ci sia una spiegazione razionale e scientifica, sul come è nato, come ha imparato e come è arrivato fino ad oggi. Deve esserci! Quando l’uomo non poteva immaginare le sue origini ha creato la storia di Adamo ed Eva, per poi dimostrarne il contrario. Oggi potremmo chiederci cosa c’era prima del Big Bang, ma credo che ci ritroveremmo in un futuro con delle risposte scientifiche.
Allora la domanda che mi pongo è “cos’è questa cosa che sento qui in foresta?” Un sentimento particolare, solo poche volte l’ho sentito: durante il servizio, in alcune relazioni e in mare.
Forse la risposta la sto definendo, se fuori tutto segue la scienza, dentro di noi cosa segue?
Leonardo 07/09/2024