Ora come si torna indietro?

E ora, come si torna indietro ?
Stasera, siamo in un ostello in cui abbiamo una stanza per uno, addirittura, un bagno a testa, con acqua corrente.
Posso dirlo, mi sembra un lusso, quasi eccessivo.
Eppure, questa stanza è di un silenzio assordante.
I miei compagni di viaggio, sono nelle camere affianco ma mi mancano.
I primi giorni in questo paese, ero restia a qualsiasi cosa mi venisse proposta.
Ero in un paese nuovo che funzionava totalmente al contrario rispetto all’Italia.
Era difficile concordare ogni singola attività, con 11 persone, che hanno pensieri propri e tutti volevano il massimo da questa esperienza, tanto sudata.
È stato difficile, abituarsi alla mancanza di acqua negli alloggi come è stato complicato accettare ogni usanza alimentare, che hanno proposto.
Ora però non vorrei più tornare indietro.
Non sapevo cosa aspettarmi dalla Tanzania, oggi , non so cosa aspettarmi dal mio rientro in Italia.
Abbiamo vissuto a stretto contatto con persone, che nonostante la povertà, un posto a tavola per noi, l’hanno sempre trovato.
Abbiamo vissuto in essenzialità con la natura.
Abbiamo visto come crescono i bambini qui e ci siamo sentiti tanto, forse un po’ troppo coccolati, dalle nostre vite.
Abbiamo vissuto come comunità, condividendo stati d’animo di divertimento e difficoltà; rispettato i tempi di ognuno di noi.
Abbiamo visto la savana e come gli animali più maestosi del pianeta, nelle loro diversità, condividano con estrema discrezione il piccolo rivolo d’acqua e vivano in continua armonia, uno vicino all’altro.

Quindi a questo punto posso solo ringraziarti Tanzania, mi hai dato molto di più, di quanto ti ho portato io.
Mi hai ricordato di essere felice per le piccole cose.
Hai riacceso in me la voglia di condivisione, in comunità.
Ed il tuo popolo mi ha regalato i sorrisi più sinceri che io abbia mai incontrato.

Concludo scrivendo un pensiero che in questi giorni, in savana, è stato fisso nella mia mente, mentre affascinata imparavo l’esistenza di quei colori caldi, che ti riempiono il cuore.
“Non vorrei essere, con nessun altra persona al mondo, in questo posto, se non con voi.”

Un abbraccio forte.
A presto,

Anna (13 settembre)

Un equilibrio perfetto

Questa mattina abbiamo lasciato gli 8 gradi mattutini di Bomala’ngombe per approdare ai 35 gradi della savana Africana.
Direi che questa escursione termica rappresenta in maniera perfetta la pluralità di paesaggi che questo paese può offrire.
In effetti, una delle prime cose che ho pensato è: ma come è possibile che una settimana fa ci trovassimo all’interno di una foresta pluviale ed ora siamo nel bel mezzo della savana? Questo luogo non smette mai di stupirmi, mi sento molto fortunata di aver potuto vedere ed esplorare questi luoghi così diversi tra loro ma che abitano la stessa terra.
Dopo aver fatto una breve sosta al mercato di Iringa e aver pranzato alle Banda Masai siamo finalmente arrivati al tanto atteso Parco Nazionale del Ruaha.
Siamo stati travolti da un entusiasmo incontenibile, io non pensavo nemmeno di potermi sorprendere così tanto nel vedere questi animali. La realtà per me è stata però un’altra, mi sono sentita immersa in un equilibrio talmente perfetto che sarei stata per ore ad osservare questo spettacolo senza muovere un dito.
Osservare la convivenza tra questi animali mi ha fatto riflettere. Elefanti, giraffe, bufali, impala, leoni, uccelli, zebre, leopardi e tanti altri coesistono nel parco in maniera a dir poco armoniosa, questo crea un clima talmente raro che sembra quasi avvolto da un velo di magia.
La prima cosa che mi viene da pensare è quanto sarebbe bello se anche noi umani riuscissimo a prendere esempio da questo ecosistema, solo allora potremmo convivere pacificamente in questo mondo.
Una delle cose che ho adorato di più è stato vedere contemporaneamente in uno stesso luogo specie diverse come elefanti con bufali, zebre con giraffe, ma credo che lo spettacolo più grande ce lo abbia regalato la vista del fiume in cui convivono coccodrilli, ippopotami, impala e aironi che si abbeverano e tanti altri.
Dopo esserci goduti un magnifico tramonto nel mezzo della savana siamo rientrati a casa. Anche qui gli animali ci hanno sorpreso nuovamente. Infatti, una simpatica iena, durante la notte, ha deciso di prendere un sandalo di uno di noi pensando fosse cibo. Questa scena ci ha fatto molto ridere, ma mi ha fatto anche sentire gentilmente ospite di un ambiente estremamente complesso in cui la nostra presenza deve attenersi a certe regole. È tutta una questione di equilibrio e qui è certamente perfetto.
Safari Njema!

Caterina (12/09)

Esperienze indimenticabili

Questo è l’ultimo giorno di cantiere, da qui in poi saranno praticamente 5 giorni di turismo. Il pomeriggio ci sono venuti a trovare alla casa di VolontariA gli studenti di Ipeta per una partita di calcio: non per dare conferma a stereotipi vari, ma la partita è iniziata con 11 di noi contro 11 studenti… a forza di sostituirci con gente più capace è finita 11 scout locali contro gli 11 studenti ah ah… noi intanto siamo rimasti ad intrattenere i ragazzini di Bomalang’ombe che ci seguono ovunque dal primo giorno. Almeno siamo stati un intrattenimento divertente per i 200 spettatori che si erano raccolti: i sorrisi non sono mai scomparsi!
Per coronare il momento abbiamo composto un’ultima cerimonia improvvisata con gli scout di Ipeta: abbiamo cantato canzoni nostre e loro che abbiamo imparato insieme negli ultimi 4 giorni, gli abbiamo regalato una tenda in segno di riconoscenza e poi ci siamo dovuti salutare. Uno stacco un po’ troppo veloce per gente con cui abbiamo condiviso alcuni dei giorni e delle esperienze più indimenticabili della nostra vita.

Ci mancheranno indiscutibilmente.
Tommaso (11/09)

Sapersi affidare

Ciao a tutti! È stato un po’ complicato ma finalmente ho trovato anche io il coraggio e il giusto momento per scrivere in questo blog.
La notizia ricevuta ieri da casa è stato un momento molto difficile ed estremamente delicato da affrontare da qua, ma comunque desidero ringraziare i miei compagni di viaggio per avermi offerto un affetto incondizionato. Mi stringo nel dolore che la comunità di Bertinoro si sta trovando a vivere, mi sento molto vicina a voi, vi abbraccio tutti forte.
Le giornate che stiamo vivendo sono talmente intense che fatico a selezionare i momenti più salienti… e poi si sa che la sintesi non è uno dei miei doni, ad ogni modo spero di non annoiarvi.
Oggi siamo andati in visita alla scuola di Ilamba, una scuola secondaria molto grande e molto bella. Ad accoglierci c’era Suor Stella, una suora che ha vissuto per due anni a Torino e che parla molto bene l’italiano. La scuola è sicuramente quella con le strutture migliori, ho pensato subito fosse un vero paradiso dell’istruzione. A disposizione ci sono dei dormitori visto che i 211 ragazzi che la frequentano vivono anche lì. Tra le cose che ci hanno colpito di più: i laboratori di chimica e fisica, assolutamente ben forniti direi anche più di quelli di cui abbiamo avuto esperienza noi, la falegnameria, la sartoria e gli animali che vengono allevati direttamente dagli studenti.
Lo scambio con i ragazzi è stato un momento speciale, ognuno di loro ci ha raccontato i suoi desideri ed aspettative per il futuro, la luce dei loro occhi è indimenticabile.
Per raggiungere Ilamba, abbiamo provato l’esperienza dei mezzi di trasporto pubblico, diciamocelo una vera e propria avventura! Come primo impatto non è stato subito semplice, eravamo molto striminziti in un autobus non troppo grande e con strade non perfettamente asfaltate. Da qualche mese penso che quello che l’Africa ti insegna è di saperti fidare ed affidare. Mi sono spesso accorta di trovarci in situazioni in cui tutto dipendeva da persone a noi sconosciute, eravamo nelle loro mani e non potevamo che fidarci di loro. Raggiungere la consapevolezza di essere nelle loro mani per me è stato un passo un po’ difficile, ma quando poi la raggiungi la strada è tutta in discesa. Le persone che abbiamo incontrato fino ad ora, mi hanno sempre dato la sensazione che noi siamo una loro priorità, una delle domande più frequenti infatti è “tutto bene vero?”, è quasi impossibile non affidarsi ai loro consigli e alle loro indicazioni.
Una delle cose più emozionanti e caratteristiche di questo viaggio rimane comunque per me la salita finale che attraversiamo per raggiungere la Casa dei Volontari di Bomalang’ombe. Una mandria di bambini ci segue ogni sera e ci accompagna fino a casa, per poi tenerci compagnia mentre noi laviamo i nostri vestiti o i nostri capelli. Ogni giorno è bellissimo vedere ognuno di noi interagire in maniera diversa, c’è chi gioca con loro a rincorrersi, chi gli insegna l’italiano, chi gli dice i nostri nomi, chi canta… ognuno di noi trova sempre un buon motivo per uscire dalla propria stanza e fare qualche chiacchiera con loro.
Uno dei primi giorni la nostra guida, Tadei, ci ha detto che l’animale simbolo della Tanzania è la Giraffa e non il Leone come si potrebbe essere portati a pensare, questo perché i tanzaniani sono un popolo molto amichevole, ora posso dire di aver capito assolutamente il perché di questa scelta.
Per concludere volevo riportare un pensiero condiviso in queste sere con i miei compagni, passata l’esperienza in foresta abbiamo avuto modo di ritornare ai comfort del villaggio di Bomalang’ombe. Arrivati all’undicesimo giorno qua, inizio a sentire il rientro in Italia sempre più vicino, sono felice di tornare a casa ma sono altrettanto triste di dover lasciare questo posto, alcuni di noi hanno condiviso con me la stessa “tristezza”.
Ho sentito molto parlare del “Mal d’Africa” ma non sono sicura di aver ben capito cosa sia, ad ogni modo sono abbastanza sicura che questo continente abbia qualcosa di magico per i miei occhi.
A presto!

Caterina

Sto riempiendo il mio zaino

Fin da principio sono partita consapevole del fatto che il motivo di questa scelta, partire, fosse ancora in divenire e che perciò lo avrei trovato qui o ancor meglio una volta partita da qui. Spesso l’uomo occidentale ha la presuntuosa aspettativa di arrivare in un ambiente e contesto sociale completamente differente per portarvi la propria “civilizzazione”, per imporla. Non ci è voluto molto a capire che qui la nostra presenza non fosse fondamentale per le persone; ma d’altra parte, a noi apparentemente non manca nulla, cosa stiamo ricevendo?
Credo che anche al popolo tanzaniano non manchi nulla: lavorano, hanno una casa, han da mangiare e la maggior parte delle famiglie dispongono di motocicletta e qualche animale. E’ quindi chiaro che per vivere non servano tutti gli agi e i vizi a cui siamo abituati ed è sicuramente qualcosa su cui riflettere.
D’altra parte durante le giornate che ho trascorso mi è parso quasi che fatichino a provare amore spontaneamente. Amore per il proprio tempo, che trascorrono aspettando che finisca la giornata. Amore per passioni che non trovano spazio perché sommerse dagli impieghi quotidiani. Infine amore tra pari: spesso due persone qui non si scelgono per amore, ma l’uomo sceglie la donna e quest’ultima non può esprimere ciò che prova prima del matrimonio.
Le emozioni spontanee che trovo sono nelle madri per i propri figli e nella gioia dei bambini.
Ricordarsi della possibilità che abbiamo di alimentare le nostre conoscenze, passioni e un amore senza barriere, può donarci la gratitudine e la gioia di vivere le “semplici piccole cose” che spesso diamo per scontate. Sto piano piano riempiendo il mio zaino.

Samuela

Rendere sacro il tempo

Sacrificare il tempo, questo è ciò che mi passava per la testa l’8 Settembre 2024 mentre sfrecciavo in sella a una moto tra le stradine scoscese e sterrate di Idegenda. A guidare la moto era Abduli, un ragazzo del villaggio che ci aveva appena salutati dopo aver passato i giorni in foresta con noi.
Sacrificare il tempo cioè renderlo sacro, non sacro come devoto a una qualche guida spirituale ma sacro come importante, stimolante, sacro da riconoscerne la bellezza e quindi preferirlo alla routine quotidiana tanto da abbandonarla. Per me partire è stato questo.
Dopo essere scesa dalla moto ho aspettato 5 minuti da sola sulla strada principale del villaggio, non avevo paura, tutti mi guardavano e io guardavo loro mentre svolgevano le loro attività quotidiane. In quel momento ho avuto tempo di ascoltare solo i miei pensieri, riflettevo sempre sul tempo, su come ai nostri occhi europei vada a rilento in Tanzania. Più volte in questa settimana abbiamo pensato che loro non facessero niente, che seguissero l’ombra senza mansioni precise a cui dedicarsi, di conseguenza poi ho pensato a noi europei che durante la giornata lottiamo per trovare un’ora libera per riposarci, che ci sentiamo in colpa a non far nulla per un pomeriggio, che a volte ci riempiamo di cose da fare solo per non pensare.
Questo discorso non vuole essere messo su un piano socio politico, non voglio avere alcuna spiegazione del perché sia così. Mi accontento di avere riconosciuto e un po’ invidiato la bellezza della concezione del tempo tanzaniano.

Virginia

Una foresta di domande

Un rumore assordante mi sveglia. Apro gli occhi, la tenda sopra di me è come se venisse punzecchiata da migliaia di sassolini, sta diluviando. In un attimo, mi passano in mente mille soluzioni per poter rispettare la tabella di marcia che ci siamo dati la sera prima: sveglia alle 6:30, colazione alle 7, alle 7:30 iniziamo a smontare e 9, o se siamo veloci 8:30, possiamo partire per rientrare.
Più ci penso e più complicazioni trovo, abbiamo ancora due giorni di cammino per tornare alla casa dei volontari.
Non possiamo bagnarci troppo, domani sera dormiremo nella stessa sala di due sere fa, il pavimento era freddissimo. E le tende tutte bagnate, bagneranno tutto ciò che è nello zaino. È un attimo scivolare in foresta, non possiamo rischiare troppo siamo lontani, molto lontani dalla civiltà che conosciamo noi.
Decido di alzarmi, e controllare fuori come va. Indosso i vestiti più tecnici che ho ed esco. La pioggia inizia a battere sul cappuccio, questo è l’unica cosa che sento. Passo da qualche tenda per capire la situazione, tutto nella norma, tende umide e tutti in attesa.
Vedo Apio (la nostra guida della foresta) affacciarsi dalla tenda dove ha dormito, mi avvicino e provo a chiedere cosa possiamo fare. Si affaccia anche Spinola (punto di riferimento del viaggio). chiedo con lui il da farsi e, accennando qualche parola in swahili ad Apio mi risponde “at ten it will stop rain, good idea to wait”.
A quel punto capisco. Quando la natura fa il suo corso la cosa migliore è lasciarla fare. Tentare di sfidarla è solo un rischio. Tanti pensieri mi chiariscono come e perché questa gente viva così. Ad un primo sguardo abbandonati dalla civiltà, ma da un punto di vista più attento strettamente legati con la natura.
Avviso gli altri, torniamo in tenda e in un attimo sono le 10:00, improvvisamente il rumore si trasforma in ticchettio, di nuovo pensando alle parole di Spinola capisco quanto questa gente conosca la natura.

Finito di smontare il campo partiamo con il primo ostacolo, il ruscello di fianco al campo si è ingrossato, l’unico modo è attraversarlo a piedi nudi, con zaino e tende in spalla. Fatto il guado inizia la salita, il fango scivoloso, i rami in mezzo a quella striscia di foglie schiacciate che noi chiamiamo percorso.
Sono entrato in foresta con la testa china, mi piacerebbe poter dire per rispetto ma ero concentrato su dove mettevo i piedi perché il mio ginocchio sinistro era indolenzito. Per rispettare la foresta bisogna conoscerla e quindi osservarla. Oggi sulla via del rientro il ginocchio non fa più male. Riesco a concentrarmi su ciò che mi circonda e un ragionamento di ieri mi assale.
“Dove cerchi Dio, dentro o fuori di te?” La domanda della catechesi di ieri.
In foresta se ti prendi un attimo sei circondato da un meccanismo sopraffino, ignoto nei suoi dettagli più intimi, ma quando ti viene detto che alcuni alberi qui hanno migliaia di anni, cerchi di farti un idea di quanto questa cosa, l’ecosistema della foresta, sia perfetto. Mi piace pensare che a tutto questo ci sia una spiegazione razionale e scientifica, sul come è nato, come ha imparato e come è arrivato fino ad oggi. Deve esserci! Quando l’uomo non poteva immaginare le sue origini ha creato la storia di Adamo ed Eva, per poi dimostrarne il contrario. Oggi potremmo chiederci cosa c’era prima del Big Bang, ma credo che ci ritroveremmo in un futuro con delle risposte scientifiche.
Allora la domanda che mi pongo è “cos’è questa cosa che sento qui in foresta?” Un sentimento particolare, solo poche volte l’ho sentito: durante il servizio, in alcune relazioni e in mare.
Forse la risposta la sto definendo, se fuori tutto segue la scienza, dentro di noi cosa segue?

Leonardo 07/09/2024

Una giornata di ossigeno

Quanti giorni servono per integrarsi in un gruppo?
Oggi dopo 3 giorni insieme, mi sono sentita finalmente connessa con il gruppo scout tanzaniano e le nostre guide.
Siamo in un luogo incantato ma allo stesso tempo spaventoso.
Cinque ore di cammino per arrivare al campo base, nel cuore della foresta e solo loro sapevano come arrivare e dove eravamo.
Ci siamo affidati totalmente al sapere delle nostre guide Apio e Abduli, perfetti sconosciuti.
All’inizio l’incertezza e un po’ di diffidenza erano sentimenti comuni ma è bastato poco per farla scomparire.
Fare strada insieme, condividere la fatica e il peso ci ha permesso di creare un legame tra di noi, superando il grande ostacolo della lingua.
Il fuoco serale di queste sere, ci permette di condividere le nostre tradizioni ed apprendere le loro, sentendoci tutti coinvolti. Nessuno rimane mai escluso.
Il carisma e la gentilezza di questo posto ci hanno contagiato e ogni giorno siamo sempre di più pronti a farci travolgere dalla loro cultura.

La giornata nella foresta non posso che descriverla come giornata di ossigeno.
Immersi in un polmone verde, migliaia di piante piccole e grandissime ci circondavano. Le tonalità di verde presenti sono infinite e il canto degli uccelli al quanto assordanti.
Siamo entrati in connessione con la natura, abbiamo dimenticato dove ci trovavamo e siamo tornati in connessione tra di noi.
Mi sono ricreduta su ogni pregiudizio iniziale e la foresta mi ha ricordato il bello di fidarsi della gente e di se stessi.
Il mio corpo mi ha portato fino al campo base, con un cammino lungo e faticoso, con salite e discese continue, in un suolo complicato, e fidarmi di loro mi ha permesso di vivere un’esperienza unica.

Sono ogni giorno più grata della possibilità, che mi è stata data e che ho saputo cogliere, di effettuare questo viaggio.

Con affetto,
Anna

La voce della foresta

La bellezza di questa foresta non sono in grado di trasmetterla a parole… purtroppo non ne ho le capacità.
Posso solo dire che, persino durante il percorso, è difficile mantenere lo sguardo sul sentiero; questo mi è costato un paio di cadute visto che la strada a malapena si riusciva a scorgere in mezzo alla esuberante vegetazione, ma ne è valsa la pena.
Ci sono alberi che svettano dritti e fieri sopra la fitta schiera di chiome, gruppi di bamboo che difendono orgogliosi lo spazio conquistato in questa fitta foresta e alberi che creano fitte e contorte trame di rami, cercando di raggiungere la luce che riesce a oltrepassare e filtrare dall’alta cupola di chiome che li sovrasta. Le liane avvolgono e circondano tutto ciò a cui riescono ad aggrapparsi, contribuendo a creare un’intricata e serpeggiante rete di strade sospesa a mezz’aria.
Il tutto è completamente ricoperto da muschi, licheni e felci e l’impressione che traspare è quella che ci sia una foresta sopra la foresta.
Le sensazioni che mi trasmette questo luogo sono stupore, eccitazione ed un’incredibile senso di pace, come poche altre cose al mondo riescono a trasmettermi. Questa foresta è più che viva e più tempo passo al suo interno, più mi sembra di sentire la sua voce… vorrei poter passare più tempo al suo interno, per poterne ammirare ancora la sua bellezza e per poterne carpire i suoi segreti.

Massimo

(Campo base di Kasira Mgunda: -8.3038807, 35.9951179)

Come fossimo stranieri

Dopo una colazione adatta a una giornata di strada, ci siamo incamminati verso Idegenda con i nostri amici scout, Toni (il cuoco) e Spinola (la guida).
In circa 4 ore di cammino tra sentieri di alti e bassi in mezzo ai versanti siamo giunti a Idegenda, villaggio esteso e costruito su più cime in mezzo al verde, ma più piccolo di Bomalang’ombe.
All’occhio risaltano i colori tropicali del posto e il rosso porpora delle case in mattoni di argilla, ma ciò che risalta ancora meglio sono gli sguardi della popolazione locale verso di noi.
I bambini incuriositi ci seguono ovunque ma al più piccolo movimento ci schivano, i più grandi sorridono e ci invitano al loro mercato.
Dopo una discreta camminata una buona accoglienza è ben gradita ed è incredibile sentirsi così osservati e seguiti come fossimo estranei, quando in realtà lo siamo.

Manuel