Se dovessi scegliere una parola per sintetizzare l’ esperienza di questo viaggio ad Atene direi: incontri! È stato un pò anche il tema delle riflessioni di questo giorni, ma pian piano è diventato realtà nei volti delle persone incontrate. Tante! Incontri che hanno cambiato la sguardo, la mentalità, forse ci hanno convertito. I bambini, i senza dimora, i tossicodipendenti, le persone che donano la vita per gli altri le incontriamo anche a Forlì, ma spesso non le vediamo! Mettersi nella disposizione di accogliere il dono dell “altro, fermarsi con lui, ascoltarlo anche solo per pochi minuti cambia la vita, fa crescere la fraternità! È stato commovente per me, rivivere negli occhi di questi giovani, a volte nelle loro lacrime, nella sincera disponibilità l’ emozione delle mie esperienze giovanili quelle che hanno cambiato la mia vita! Sono certo che tornando a casa ognuno di noi guarderà con occhi diversi quel mendicante che chiede un euro, quel povero sdraiato sul marciapiede, quel profugo che chiede il diritto di vivere. Da qui comincia il percorso di un nuovo incontro, quello che costruisce pace e fraternità .
Il caldo opprimente mi fa fare movimenti lenti, lentissimi.
Ho in mano una pezza fatta da un vecchio lenzuolo a fiori con la quale sto
pulendo le persiane delle finestre della piccola camera da letto al piano terra
della nuova “Capanna di Betlemme”, la casa di accoglienza per i senzatetto che
stiamo aiutando a sistemare per la nuova apertura.
Movimenti lentissimi, sempre uguali, ritmati: tra una fessura e l’altra della
persiana, per togliere la polvere della strada su cui si affaccia la finestra.
Piccoli momenti di respiro quando una leggera folata d’aria entra nella stanza
passando tra le foglie dell’albero di agrumi che è proprio di fronte a me.
“Ma cosa sto facendo?”
Una domanda secca -cosa sto facendo- inizia a martellare nella testa. Cosa sto
facendo.
Sono a duemila chilometri da casa, mentre pulisco le finestre di una stanza in
cui verranno a dormire persone che non ho mai visto, di cui non so nulla,
nemmeno il nome.
Cosa sto facendo.
Sera, tarda sera, con alcuni dei ragazzi portiamo un bicchiere di tè freddo ed
un panino a persone che vivono per strada, spettinate, occhi fissi a riflettere
il via vai di turisti del centro di Atene meravigliati dalla vista
dell’Acropoli: non capisco neanche i loro nomi, c’è un muro altissimo, la
lingua, indecifrabile, impenetrabile. Qualche stentata parola di inglese -vuoi
un po’ di tè?-
un sorriso, la dignità. Serena che ci accompagna inizia a chiacchierare, a
chiedere, ad interessarsi a chi abbiamo di fronte: lei parla greco, intende e
cerca di avvicinarci a questo mondo fatto di Persone.
Cosa sto facendo. Mattina, mattina prestissimo. Due suore di Madre Teresa,
quelle con la veste bianca e blu, come le case greche. Due suore, una Indiana e
l’altra africana, otto bambini, un po’ africani, qualche greco, io: sembra
l’inizio di una barzelletta. Ci chiedono di giocare un po’ con loro, hanno un
piccolo centro estivo oltre alla mensa dei poveri. Giochiamo, la palla è un
linguaggio internazionale, finalmente ci capiamo. Così quattro ore. Al sole. Al
caldo -cosa sto facendo-.
Pomeriggio. Siamo tutti seduti intorno ad un tavolo, sotto un pergolato, in un
bel giardino coi sassi bianchi, qualche limone, un grande fico. Una scritta nel
muro bianco, una scritta blu: XVIII.
Filippo, Fabiola, Max, Serena, Jerusalem e i suoi piccoli: tutti seduti insieme
intorno ad un bellissimo tavolo, sotto un pergolato. Sono una famiglia
bellissima, sono la casa famiglia, sono della comunità Papa Giovanni XVIII.
Sono di Siena, sono ora ad Atene. Gestiscono la Capanna, i servizi in strada, fanno
tanto.
Cosa sto facendo.
Ci raccontano chi sono, perché, cosa.
Ci raccontano di don Oreste: ci si salva insieme, non c’è qualcuno che salva
qualcun altro. È condividere, è così che si cambia il mondo. È la condivisione,
è mettere insieme ciò che ho con ciò che hai. È il tempo che mi dedichi, è il
tempo che ti dedico. Non mi importa chi sei, se ci conosciamo, sei sei grande o
piccolo, se sei in strada o sotto un tetto. Ci si salva insieme.
Non so quale sia il “piano”, sinceramente non lo so e non so neanche se ci sia.
Ma siamo qui, sono qui. Forse ho capito cosa sto facendo. Solo cose belle.
Senza rendercene conto siamo
arrivati alla quinta giornata di questa route imprevedibile. Questa mattina,
come ogni giorno, ci saremmo dovuti alzate alle 7:00 per essere pronti per la
catechesi ma il momento del risveglio oggi si è un po’ allungato. Dopo la
colazione siamo partiti per i servizi che ci erano stati assegnati per la
giornata. Per me questa giornata riservava il servizio nella casa delle suore
di Madre Teresa con accoglienza alle madri e ai loro figli. Arrivati abbiamo
ricevuto una accoglienza calorosissima da parte delle sorelle, che subito ci
hanno portato di sopra per un momento di preghiera dove abbiamo potuto esibire
le nostre pessime doti canore. Già prima di salire verso la piccola chiesa
abbiamo potuto notare la felicità con il quale quei bambini ci salutavano e
questo mi ha colpito tantissimo.
Dopo la preghiera abbiamo iniziato il servizio nella dispensa sotto indicazione della sorella superiora, nel quale con un po’ di caldo e fatica abbiamo preparato sacchetti con riso e fagioli da inserire nei 30 sacchetti della spesa che abbiamo preparato da consegnare alle famiglie povere che venivano a prenderle. In quel momento mi sono più volte interrogato sull’azione che stavamo facendo, cercando di sfamare e di dare beni di prima necessità a persone che non possono permetterselo e questo mi ha fatto molto riflettere ed emozionare. Concluso il lavoro mi sono messo a pulire tutto il piano interrato della casa, quando è arrivata una sorella e vedendomi li da solo con un po’ di sudore mi ha raccontato una sua esperienza passata. Doveva pulire del pesce, cosa che a lei non piaceva per niente fare, e una sua superiora gli ha detto: ”Tu devi pensare come se tutto quello che fai qui pulendo questo pesce o altro che non ti è comodo, lo fai per le anime che ci sono in cielo e per salvare più anime possibili”. Ciò mi ha fatto riflettere moltissimo e mi sono reso conto come anche un piccolo aiuto o una piccola fatica vada vista da una prospettiva più alta e che anche le piccole cose contano un sacco. Dopo aver intrattenuto i bambini con giochi, balli e qualche pianto qua e là, li abbiamo accompagnati a pranzo nella casa dove hanno pranzato. Noi invece, dopo aver condiviso un piccolo aperitivo che le sorelle ci hanno offerto, abbiamo portato tutte le coperte, che nei mesi invernali consegnano ai senza tetto per strada, nel terrazzo dove poi sarebbero state lavate nei giorni successivi. Abbiamo giocato ancora un po’ con i bambini che si sono molto affezionati a noi. Siamo dovuti ritornare per il pranzo, per proseguire una giornata che si annuncia ancora emozionante.
È il quinto giorno di route nonché l’ultimo giorno di servizio in Grecia. Oggi ho avuto la possibilità di rivedere il gruppo di fratelli nigeriani (quattro sorelle e un fratello più piccolo) dai 12 ai 4 anni che avevo incontrato per la prima volta il primo giorno di servizio. Con loro c’erano anche una coppia di fratelli maschi greci di dieci e otto anni e un bimbo, sempre greco, di sei. Quest’ultimo, appena arrivato dalle suore di Madre Teresa, ha incominciato subito a dimostrare a tutti affetto, giocando, ridendo e scherzando con noi ( Margot e Massimo ed io). Dopo aver caricato tutti nel furgoncino siamo partiti alla volta del mare. Qui le bambine hanno dimostrato tanto timore nei confronti del mare. Nicole, la più grande tra le sorelle, mi ha raccontato che per loro era la seconda volta in spiaggia. Dopo tante urla mischiate a risate siamo riusciti a stare tutti bene in acqua, a tal punto che le bambine giunto il momento di tornare sul furgone non volevano uscire dall’acqua che tre ore prima tanto le spaventava. Una di loro, la più piccola tra le bimbe, non riuscì ad arrivare tanto avanti, la schiuma e le onde la terrorizzavano ma adorava la sabbia bagnata e stava vicino al suo fratellino piccolo, Joseph, che con la palla si divertiva a giocare con Massimo. Io e Nicole decidemmo di provare a fare una “nuotata” , ci fermammo un po’ lontano dagli altri bambini e lei mi disse “ I am very happy, the sea was my greatest fear “ che per chi come me non è molto bravo in inglese significa “sono molto felice, il mare era la mia più grande paura”. Sono stata felice oggi, felice di aver condiviso un momento e un’esperienza tanto significativa per lei e tutti loro.
Questa mattina ho aiutato insieme al mio capo clan Gabriele e altri due ragazzi del gruppo della Toscana ad ultimare il trasloco dalla vecchia alla nuova sede della Capanna di Betlemme. Altri miei compagni avevano già iniziato questo lavoro nei giorni precedenti e per questo non ci siamo stancati molto fisicamente. D’altra parte ho avuto modo di parlare con Max, uno dei volontari della Papa Giovanni XXIII. Ho riflettuto molto su come quel luogo inizialmente frequentato da perfetti sconosciuti, sia diventato col tempo così speciale per tutti loro. Come hanno testimoniato Max e altri volontari infatti, alla notizia del trasferimento gli ospiti hanno reagito subito chiedendo se fossero comunque tutti insieme. È bello vedere come siano riusciti a creare una vera e propria famiglia.
Il servizio è molto semplice. Si tratta di distribuire panini
(thelete sandwich?) e té freddo (crio chai?) ai senza
tetto del porto del Pireo. Questi gesti servono a coltivare le
relazioni con queste persone, facendo sentire loro un po’ del calore
che la società gli nega. Fino a qui è tutto teorico e lineare.
Quando poi ci si trova davanti ai volti, agli odori, alle voci, la
situazione si complica parecchio e le corde delle emozioni, intense e
negative, iniziano a vibrare.
Non siamo preparati ad incontrare così tante persone. Decine,
centinaia di vite sbattute sulle panchine, sui prati dei parchi,
sull’asfalto dei marciapiedi.
Non siamo preparati a incontrare le donne. Un “barbone” te lo immagini diverso. Non ti aspetti una signora sorridente che potrebbe essere tua madre, pulita e ordinata, circondata da sacchi pieni dei suoi poveri averi. Non siamo preparati a incontrare ragazzi giovani, forse tossico-dipendenti, gli stessi ragazzi che potrebbero essere i tuoi vicini di casa, le stesse persone che potresti incontrare in un locale o in pizzeria.
Non siamo assolutamente preparati ad incontrare le famiglie, che sono
soprattutto rom. Uomini e donne adulti, con i cartoni che saranno il
loro letto sottobraccio. I bambini intorno seguono mamma e papà in
cerca di un luogo tranquillo per dormire e magari di un po’ di cibo
per riempire lo stomaco un altro giorno. I bambini, di ogni età e i
più piccoli spesso nudi, non dovrebbero crescere sulla strada. I
bambini giocano e ridono in ogni luogo, e questi non fanno
differenza. Questa situazione è però semplicemente inaccettabile ai
nostri occhi. Queste immagini ci colpiscono come un maglio. Qualcuno
di noi non trattiene le lacrime.
I senzatetto di Atene vengono assistiti nei loro bisogni primari da
associazioni come la Papa Giovanni XXIII. L’impressione però è
che non sia il cibo ciò che più manchi
loro. Abbandono, emarginazione, solitudine sono i mali che affliggono
le loro esistenze.
I nostri cuori pesanti vengono consolati
da momenti belli, addirittura commoventi. Maria Serena, la volontaria
che ci guida e ci accompagna, viene accolta con sorrisi sinceri e
abbracci affettuosi. Non c’entrano il tè e i panini. I visi di
questi poveri sono illuminati da qualcosa che somiglia molto
all’amicizia e alla riconoscenza di chi apprezza il tempo che lei e
noi abbiamo scelto di condividere.
Alcune
di queste persone inoltre ci danno vere e proprie lezioni di dignità.
C’è che cura la propria pulizia anche in questa condizione di
totale privazione. C’è chi, come Stathis, è riuscito a ritagliare
sotto una tettoia un angolo di salotto, con un tavolino di fortuna e
una sgangherata sedia da ufficio. Consuma il pasto donato da qualche
ente benefico come se si trattasse di una cena in un ristorante. A
commuovermi è Alekos. A fianco della panchina che rappresenterà il
suo letto di questa notte c’è una pila di libri e un paio di
occhiali. Mi mostra con orgoglio i suoi volumi, in greco. Sono
dettagli di potentissima umanità.
Tantissime domande affollano le nostre menti. Abbiamo accompagnato a turno Maria Serena nella visita dei senzatetto al porto, in centro, nei parchi. Tutti abbiamo provato le stesse emozioni contrastanti e tutti siamo tornati con troppe domande alle quali non riusciamo a dare risposte convincenti. Siamo scout, e crediamo che nel servizio ai poveri incontriamo Gesù. Probabilmente non ci serve sapere altro per dare un senso a tutto questo.
Oggi sono andato in centro con Maria Serena, Leo, Margot per
incontrare i senzatetto. Siamo partiti di mattina e siamo stati nel
centro di Atene e lì abbiamo trovato senzatetto: la prima ci ha
scacciato, il secondo invece e stato cordiale e abbiamo fatto una
bella chiacchierata con lui in inglese. Mentre stavamo percorrendo la
strada principale di Atene, Serena ci ha portati in un palazzo enorme
che era chiuso da una rete. Siamo riusciti ad entrare dentro grazie a
un buco nella rete. I primi due piani erano pieni di spazzatura di
ogni tipo, mentre altri due erano stati utilizzati come bagni.
Nell’ultimo piano abbiamo trovato in un materasso delle scarpe e
dei vestiti, segno che qualcuno aveva dormito lì. Siamo saliti in
cima al palazzo e li abbiamo visto un bel panorama. Intorno però ho
notato con tristezza che c’erano molti palazzi fatiscenti e di
fianco a questi c’erano dei palazzi moderni e molto belli; erano
mescolati tra loro. Invece che sistemare i palazzi mal messi
preferiscono lasciarli così e costruirne dei nuovi.
Oggi sono stato assegnato di nuovo alle suore del centro estivo:
all’inizio dovevamo solo occuparci della mensa ma poi sono anche
arrivati alcuni bambini per cui ci siamo divisi in chi stesse a
preparare da mangiare e chi li avrebbe fatti giocare. Loro parlavano
solo greco, quindi siamo riusciti a comunicare solo gesticolando o a
volte con l’aiuto delle suore, ma principalmente siamo riusciti a
raggiungerli con i gesti: è bastato ascoltarli e cercare di
accompagnarli in quello che si sentivano di fare piuttosto che
forzarli con qualche gioco, così non solo ci siamo affezionati noi a
loro, ma penso che anche loro ci abbiano preso in simpatia. Vengono
da situazioni e condizioni difficili, in cui vivono tutt’ora, ma,
nonostante questo li porti ad assumere comportamenti ogni tanto
ribelli, non è stato sufficiente a coprire il loro lato infantile,
che ovviamente non può che essere scoperto attraverso il gioco.
Ormai di routine ci siamo svegliati in tutta fretta per
catechesi-colazione e prepararativi per i servizi.
Oggi sono
andato alla capanna di Betlemme che in questo momento è impegnata a
fare un trasloco. (La capanna di Betlemme è una struttura della Papa
Giovanni XXIII che accoglie persone senza fissa dimora). Grazie alla
mia solita fortuna oggi abbiamo dovuto spostare il frigo e la
lavatrice…
Con l’aiuto di baldi giovani abbiamo sistemato
tutto e ci siamo messi a programmare i dettagli in preparazione
dell’apertura di lunedì.
Di
sicuro non è stato un servizio forte e incisivo come altri ma vedere
i ragazzi della capanna che ti ringraziano infinite volte ti fa
capire come in realtà sia stato molto importante.
Gli Scout del Bertinoro 1 sono tornati stamattina con una giornata ricca di emozioni e con altre attività. Sveglia alle 7:15 per la catechesi della mattina, subito dopo una veloce colazione per una partenza molto carica. Ci siamo divisi in gruppi, come ieri mattina, ognuno di questi aveva un’attività diversa. Io (Margot) con Rossi, Samu e i toscani ci siamo diretti in metropolitana per raggiungere la casa famiglia delle suore di Madre Teresa. Abbiamo svolto diverse attività: aiuto in cucina, conoscenza degli ospiti e vari giochi con bambini, seguiti da un piccolo tour della casa famiglia guidato dalla capa delle suore che ci ha illustrato la storia della casa. Abbiamo provato emozioni forti e abbiamo appreso la vera importanza dei piccoli gesti. Io (Manu) con l’Ali e Massi ho aiutato, nella struttura in cui alloggiamo, un centro estivo con qualche bambino giocando ogni tanto con loro e restando a disposizione in caso di bisogno. Mentre gli altri gruppi erano fuori qualcuno doveva pensare al pranzo quindi ci siamo messi all’opera preparando una pasta fredda con pomodorini, tonno e feta. Abbiamo poi apparecchiato la tavola e giocato a carte nel tempo rimanente. Per concludere la nostra giornata tutti insieme siamo andati a messa nella casa famiglia delle suore di Madre Teresa, abbiamo condiviso un momento di Fede e di fraternità. E’ stato molto emozionante vedere come celebrano la messa le suore di Madre Teresa, con le lore preghiere in inglese,v edere la loro unione e la forza che le unisce… Dopo una breve merenda hanno portato le loro testimonianze, ci hanno raccontato del percorso di formazione che le ha portate ad arrivare lì. Una frase che ci accompagnerà nel nostro cammino è “esistono poveri che mancano di materiale, ma la povertà più profonda è quella di chi non ha Fede” .